Gli OpenData nella Sicilia dei Gattopardi

OPINIONI

Gli OpenData nella Sicilia dei Gattopardi

Di Filippo D'Angelo | 18 luglio 2014

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Parlare di OpenData e Sicilia rappresenta, a primo impatto, un autentico ossimoro. Da una parte abbiamo l’isola che è simbolo di omertà, silenzi e muri di gomma, dall’altra la nuova formula di trasparenza e partecipazione democratica dal basso: accostarli, apparentemente, è una sfida difficile se non impossibile ma si sa che per gli opendatari queste sfide rappresentano il pane quotidiano. Negli ultimi anni la diffusione della logica dell’apertura dei dati pubblici si è allargata a macchia d’olio anche nel nostro Paese, superando difficoltà, combattendo ignoranza culturale (del dato e non), ritrosie e chiusure che abbondano nelle PA nostrane, sia a livello Centrale che Locale.

Partiamo quindi dall’assunto che la “scalata” all’apertura dati, già tortuosa di per sé, lo sia maggiormente nell’isola dei Gattopardi. Ma oggi possiamo dire che qualcosa si è mosso, eccome, anzi è in continuo divenire.
Il convegno sulla Trasparenza del Comune di Palermo, ne è un’istantanea significativa: vero, si tratta di un evento dovuto per legge, ma quante amministrazioni hanno ottemperato a questo dovere? Un elemento sicuramente interessante che scaturisce dalla cronaca del convegno è l’inizio dell’applicazione delle direttive contenute nelle Linee Guida dell’Agid cui ho potuto dare anche il mio contributo.

L’individuazione dei responsabili in ogni settore era uno dei punti da me maggiormente caldeggiato per iniziare a far funzionare un meccanismo virtuoso di individuazione e pubblicazione, e sembra che il Comune di Palermo abbia intrapreso questa strada. E’ il primo passo verso l’idea che questo modus proliferi anche negli altri Comuni dell’isola e si possa creare una rete di condivisione dove i vari Referenti di diverse amministrazioni riescano ad alzare il livello delle informazioni aperte, magari linkandole fra loro.

L’ideale sarebbe creare un portale Open Data Sicilia, sulla falsariga di dati.gov.it, dove convogliare tutti i dataset pubblicati dalle varie PA dell’isola in modo da avere un unico punto di ricerca comune.

Ma al di là degli atti formali (o a volte di immagine), quello che fa ben sperare è il proliferare di iniziative che iniziano a far diffondere la cultura del dato aperto per scardinare formae mentis abbarbicate nella custodia gelosa delle informazioni di pubblico interesse. Il progetto #confiscatibene ne è un ottimo esempio. Sono iniziative di questo genere che possono “svegliare” l’attenzione sia dei cittadini che dei media, portare a loro conoscenza che esiste una forma di informazione indiretta e costante accessibile a tutti.

Sarà certo importante, ad esempio, riuscire (e ci vorrà fatica, tanta fatica) a pubblicare in formato aperto dati elementari come ad esempio la partecipazione dei consiglieri comunali alle varie sedute, come essi hanno votato e di quali proposte essi si siano fatti promotori, in modo da dare evidenza del loro operato a chi li ha eletto (in questa direzione sicuramente encomiabile il portale Cittaperta del Comune di Palermo, primo step di un percorso da approfondire).

Non ci nascondiamo dietro ad un dito dicendo che pubblicare dati di un certo tipo non faccia piacere a personaggi… influenti. Ma l’emancipazione culturale di un Paese ha bisogno di iniziative che guardino oltre.

E’ ovvio che #confiscatibene è soltanto un sasso nello stagno incancrenito da decenni di diffidenza, ma –a mio parere- questo sasso si colloca come un macigno indicando la strada da seguire. Con la consapevolezza che ogni altro sasso scagliato nella palude, ogni dato aperto che scardini i silenzi omertosi abbia e avrà senz’altro effetto.

Non è e non deve essere necessario che i dati vengano resi pubblici a iniziativa esclusiva delle Istituzioni, ma –dove questi dati siano già disponibili, anche in formato cartaceo – renderli Open, pubblicarli in un portale come questo, diffonderli a livello Nazionale anche attraverso operazioni di Data Journalism, questo significherebbe utilizzare gli Open Data non solo come strumento di diffusione democratica ma anche come grimaldello per andare a invertire certe tendenze, tipicamente italiane, a dimenticare.

Un progetto possibile che mi farebbe davvero piacere veder realizzato, potrebbe essere quello di raccogliere semplicemente i nominativi di quanti sono stati condannati con sentenza definitiva per associazione mafiosa. Viviamo in un Paese dove nessuno è mai colpevole e i fatti vengono spesso ribaltati da dichiarazioni unilaterali. Le sentenze sono un dato incontrovertibile, raccogliere in un dataset omogeneo determinati nomi non è mettere alla gogna nessuno, ma ricordare concretamente e generalisticamente alla società civile chi ha fatto cosa, con la consapevolezza che invece alla società… “incivile” nulla del genere potrà mai andare bene.

Ancora, perché non realizzare un dataset geo-referenziato dei luoghi dove sono avvenuti omicidi di mafia? Da Portella della Ginestra a Don Puglisi, dal giudice Livatino a Peppino Impastato, continuando per Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino. Una mappa di sangue, certo, ma che in qualche modo abbiamo versato tutti.

Sono tutti dati noti, pubblici, servono solo “uomini di buona volontà” che li assemblino e li rendano Open. Come è stato fatto dal progetto #migrantfiles (vincitore del Data Journalism Award 2014), una mappa dei flussi migratori non solo verso il Bel (?) Paese ma con i dati internazionali dei troppi che perdono la vita nella speranza di averne una migliore.

Ma non ci sono solo dati delicati da esporre. Basta guardarsi intorno per avere idee che possano rivelarsi utili ai cittadini: gli orari degli autobus a Palermo ne sono un esempio di base, ma perché non pubblicare i dati sulla qualità delle acque dei comuni o quelli sui risultati a campione sull’inquinamento dei nostri mari?
Certo, in questo modo si vanno a solleticare interessi a volte centenari: ma se abituiamo la gente, i cittadini all’idea che dati finora “scomodi” possono essere a disposizione di tutti, come per #confiscatibene, sarà più elementare abituarli a prendere la buona abitudine a prassi come l’accesso civico, l’esame dei dati sulla trasparenza ecc. Chi impara a risolvere equazioni complesse riesce più facilmente a svolgere problemi più semplici.

Riprendo l’espressione lanciata da Maurizio Napolitano: bisogna rendere gli Open Data… sexy. Non limitarsi cioè all’esposizione di cifre ma far sì che i dati esposti siano appetibili, che stuzzichino la curiosità del cittadino, che invoglino a sviluppare app che li utilizzino, che mostrino qualcosa che si riteneva inaccessibile.

Io penso che fare Open Data nella nostra amata isola possa essere un cammino più irto che altrove. Ma è un processo inevitabile e senza dubbio un cammino meno faticoso rispetto ad altri problemi che investono la Sicilia. Le azioni che vediamo intraprendere in questo gruppo di “visionari” sono tutti sassolini che stanno iniziando a smuovere il monolite. L’opera di “evangelizzazione”, di diffusione della cultura del dato è, per ora, sulle spalle di pochi: ma conforta il fatto che questi pochi siano tutti contagiati da quella che Annalisa Moncada, in un suo libro, chiamava “l’intelligenza feroce dei siciliani”.